Che “Drenched in Red” ricalcasse le fasi di un processo alchemico, ce ne siamo accorte in corso d’opera.
Edward già lo sapeva, quando ha chiamato se stesso “il principe” e Rowan “l’alchimista”.
Noi ci siamo arrivate più tardi.
Del resto, anche la trasformazione dalla prima stesura a quella definitiva (da “Drenched in Red” a “Opera al Rosso“) è stata un’operazione alchemica: sette anni per isolarne i componenti fondamentali, per ricomporli e mischiare gli elementi. Distillarli e trasformarli.
Quel che ne è uscito è un materiale affilato come vetro e duro come diamante, una realtà del tutto nuova: mancando la consapevolezza della trasmutazione, non c’era redenzione possibile in Drenched.
Invece è il Rosso stesso che, prendendo vita sulla tela immensa di un dipinto, trasforma gli incubi di Edward in un atto d’amore e l’insostenibile libertà di Rowan in un legame indissolubile.
Gli elementi originali – la materia grezza, caotica – è stata raccolta e lasciata macerare nei primi due capitoli che non a caso abbiamo riunito nella sezione Nigredo: in questa fase il buio si acutizza, il mondo perde i contorni e la frustrazione si macera nell’aspetto peggiore della sua stessa natura. Violenza, crudeltà. Terrore.
La trasmutazione inizia da qui. E’ il trapasso necessario.
Albedo è il passaggio successivo: la graduale evoluzione da uno stato di incoscienza ad uno di coscienza, il formarsi doloroso della consapevolezza e le pennellate che lentamente danno vita al ritratto del Rosso. Il suo corpo che prende forma, che diventa materia solida.
In realtà si tratta di una “terra di mezzo”, scivolosa e incostante, nella quale infiniti fattori intervengono a spostare il centro di gravità al di fuori del processo.
Ma Rowan è un guerriero, e Edward un principe inflessibile: lui sa che ogni altra strada è impraticabile – il fango resta fango, anche se lo modelli in guglie. Anche quando lo spolveri d’oro e argento, anche se ne fai una cattedrale.
Ed ecco la Rubedo, quindi, la nascita dell’uomo nuovo.
Il ragazzo che prende vita è alto tre metri, gli spettri sono imprigionati ai suoi piedi e lui li controlla e regna sul buio, lui rende il serpente innocuo e muta i propri occhi nel riflesso dello specchio.
Sono gli occhi di Edward, quelli che le pennellate hanno ritratto.
Sono gli occhi di Rowan. Eppure il Rosso è qualcosa di ancora diverso, è l’unione di entrambi. Un essere immortale, crudele e struggente al tempo stesso. Un dio, forse. Ma più simile a all’Eone degli gnostici, un tutto autodeterminante che trascende il bene e il male.
Jung lo raccontava così, in un passo del suo Libro Rosso:
“Ma Abraxas dice la parola venerabile e maledetta che è al tempo stesso vita e morte.
Abraxas genera verità e menzogna, bene e male, luce e tenebra nella stessa parola e nello stesso atto. Per questo motivo Abraxas è terribile.
È splendido come il leone nell’istante in cui abbatte la preda. È bello come un giorno di primavera.
Sì, lui è il grande Pan e anche il piccolo Pan. È Priapo.
È il mostro del mondo sotterraneo, polipo dalle mille braccia, groviglio di serpenti alati, frenesia.
È l’ermafrodito del primissimo inizio.
È il signore dei rospi e delle rane che vivono nell’acqua e salgono sulla terra, che cantano in coro a mezzogiorno e a mezzanotte.
È la pienezza che si unisce col vuoto. È il sacro accoppiamento. È l’amore e il suo assassinio.
È il santo e il suo traditore. È la più risplendente luce del giorno e la più cupa notte della follia.
Vederlo fa divenire ciechi. Conoscerlo porta a diventare malati.
Adorarlo significa morire. Temerlo significa essere saggi.
Non resistergli significa essere salvi.”
L’Opera è compiuta.