I gatti non hanno nome è la prima opera tradotta in italiano di Rita Indiana, attivista LGBT e tra le principali voci giovani della narrativa caraibica in lingua spagnola; un romanzo insolito, frammentato, composto di scene brevi come tessere di mosaico a costituire capitoli che, messi in fila, illuminano un breve periodo della vita della protagonista. Storia di formazione, quindi, di evasione interna e scoperta di sé, ma al tempo stesso anche della famiglia (in un’ottica forse effettivamente molto latinoamericana) e del mondo circostante. Nella postfazione al romanzo, la traduttrice – Vittoria Martinetto – definisce il suo stile “trash meraviglioso”: un’espressione perfetta, che richiama tanto il “realismo meraviglioso” caraibico (e i suoi portenti normalizzati, quell’impressione soffusa e costante che la realtà sia più grande, e vibrante, e assoluta) quanto l’estetica pop postmoderna, con le sue storie fatte di banalità quotidiane e scarti assembrati in un collage.
La protagonista adolescente, affidata agli zii durante un’estate nella quale i genitori sono in viaggio, lavora come receptionist temporanea nell’ambulatorio veterinario dello zio (buddhista) e passa il tempo a scrivere nel suo quadernetto elenchi di nomi da dare a un gatto randagio, nella speranza che, con quell’incantesimo personalissimo, questo si decida a risponderle. (Speranza vana, come riconosce lo stesso incipit: «I gatti non hanno nome, questo lo sanno tutti.») E capitolo dopo capitolo si snoda la sua storia, fatta di episodi apparentemente slegati tra loro – ma tutti accumunati da titoli solenni e inquietanti, tratti da un’emblematica versione bilingue de L’isola del dottor Moreau – a raccontare lo spiegamento di nonni e zii e cugini, col loro passato e presente bislacco, quotidiano e leggendario al tempo stesso; il bestiario di strani animali e ancor più strani clienti; i conflitti razziali con Haiti – sfumati sullo sfondo – e la scoperta del sesso, non sempre gradevole, o ben definita: peni mostrati controvoglia, scene intraviste per sbaglio e non del tutto comprese, gelosie amare e l’incapacità di pronunciare ad alta voce una confessione importante. Il tutto raccontato in filigrana, spesso, disordinatamente, in una colloquialità che è solo apparente e nasconde in realtà strati e strati di significato.
Personalmente, l’ho amato. Non lo consiglierei a tutti, perché penso che per apprezzarlo davvero si debba essere predisposti e anche un po’ “educati” a un tipo di letteratura che non vediamo spessissimo nei nostri lidi, ma se qualcuno ama la letteratura latinoamericana classica, e ha voglia di mettersi alla prova con una sua declinazione più pop e moderna, I gatti non hanno nome è di certo una scelta ottima.
Citazione gratuita, e un po’ fuorviante – dato che, come dicevo, il romanzo parla soprattutto di altro – solo perché non sono sicura di avere sottolineato davvero come mai mi sono decisa a parlarne in questa sede:
«Ai gatti piacciono i vicoli» mi disse Claudia, e lo diceva senza smettere di sorridere. Ci inoltrammo nel vicolo cieco, ma trovammo solo erbacce e una catena di bicicletta arrugginita. Lei mi fissò e io feci uno sforzo sovrumano per sostenere il suo sguardo. Allora si avvicinò e mi baciò sulla bocca con la bocca aperta e io la baciai a mia volta ascoltando come l’onda di latrati inghiottiva la notte, la gatta e tutti i suoi possibili nomi.
Presentazione dell’editore
La giovane protagonista di questo libro non ha nome. Passa l’estate lavorando come segretaria nella clinica veterinaria degli zii mentre i genitori sono in Europa. Intanto annota su un quaderno i possibili nomi per un gatto, ispirandosi alle persone e alle cose che colpiscono la sua immaginazione. Come Zio Fin, che sguscia di stanza in stanza per evitare le sfuriate della moglie, Zia Celia, la cui rabbia si proietta in forma di scritte al neon. Come Armenia, la cameriera che da bambina curava la tubercolosi con un cucchiaio; e ancora come Radamés, il ragazzo di Haiti la cui voce sembra uno sciroppo per la tosse. In un libro impossibile da riassumere se non leggendolo, Rita Indiana illumina quel breve, magico momento della vita in cui ci si mette in cerca della propria identità. Quando, per mantenere uno sguardo incantato sul mondo, si deve scendere a patti con la realtà senza abbandonare del tutto l’ingenuità dell’infanzia.
E anche l’identikit del suo lettore ideale (perché alla NN sono meravigliosi.^^ <3)
Questo libro è per chi adora raccontare le storie cambiando di volta in volta il finale, per Zazie, che non ha mai preso il metrò, per chi vorrebbe avere i capelli profumati al gelsomino, e per chi ha capito che niente dura per sempre ma si ostina a chiudere gli occhi per veder apparire le stelle sotto le palpebre.
Dati tecnici
Titolo: I gatti non hanno nome
Autore: Rita Indiana
Traduttrice: Vittoria Martinetto
Casa editrice: NN Edizioni
Anno di pubblicazione: 2016
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