C’è stato un tempo, da ragazzina, in cui ero ossessionata dai papaveri. Penso che la colpa fosse di Stefano Benni, più che tutto, e del finale di Elianto – ancora adesso, quel suo «Elianto guidò la rivolta dei papaveri, la più grande rivolta della storia» ha, per qualche strana ragione, il potere di farmi venire i brividi – ma il punto è che mi ero messa a spulciare libri di poesia in cerca di versi a tema. (Perché appunto. Ero fissata).
Sono quasi sicura di esserci arrivata così, a Sandro Penna. Grazie a una fissazione assurda, l’amore per il rosso traslucido di quei fiori da grano, e una provvidenziale raccolta di CD-Rom che, all’epoca, vantavano di raccogliere tutta la migliore poesia mai scritta.
Non ricordo esattamente come avessi impostato la ricerca, ma penso sia (anche) per questo se la poesia che preferisco di lui – dopo più di dieci anni, e un orecchio più affinato, e tante crisi di coscienza che mi hanno fatto avvicinare&allontanare&riavvicinare di nuovo alla sua figura come una specie di yo-yo impazzito – è ancora quella in cui devo essermi imbattuta quel primo pomeriggio. Restandone fulminata, chiaramente, perché pochi poeti più di Penna, in Italia, hanno saputo fondere con la stessa dolcezza l’intensità limpida dell’immagine e la quotidianità di un lessico solare, arioso.
È poeta di versi brevi, Penna, apparentemente semplici e prosaici, espressioni di un mondo piccolo e immenso al tempo stesso. «Amavo ogni cosa nel mondo. E non avevo / che il mio taccuino bianco sotto il sole», scrive in una delle sue poesie più famose (questi due versi sono l’intera poesia) ed è fulminante, ogni volta, scoprire come sia riuscito in sedici parole appena ad esprimere perfettamente il senso di comunione col mondo ed entusiasmo e incredulità e frustrazione di certi momenti perfetti e irripetibili. (Che poi è una delle costanti della sua opera, credo, una specie di misticismo prosastico e terribilmente umano, terreno: «Più vivo di così non sarò mai».)
L’altra costante è l’amore, ovvio: amore omosessuale, e ancora più oscuro perché rivolto soprattutto ai “fanciulli”; che poi è anche la ragione della mia crisi di coscienza e successivo allontanamento, perché se a diciassette anni non mi disturbava l’idea di un uomo adulto attratto dai ragazzini («Non vale il grigio, non vale la strada / contro la luce dei tuoi sedici anni» è una descrizione a cui si perdona quasi tutto) con l’età adulta certi temi diventano, credo, più delicati per forza, ed è difficile fare del tutto pace con se stessi, con la propria etica.
L’altro giorno ho ripreso in mano la mia copia delle sue poesie, però (edita da Garzanti, con prefazione di Cesare Garboli) e sono stata risucchiata di nuovo da tutto ciò che traspare nella sua voce, dalla sua prospettiva. Addirittura il tema della pederastia è diventato meno doloroso, forse perché nel frattempo ho imparato a concedere un po’ più di flessibilità alle complicazioni dell’esistenza umana (soprattutto in termini storici, e soprattutto quando non è possibile sovrapporre esperienze&culture&ossessioni), ma anche perché, a margine di tutto, Sandro Penna rimane il poeta più chiaro e limpido che io abbia mai letto. E quando riesci a essere limpido scrivendo di cose tanto dolorose e torbide – e lo fai con versi memorabili come «Ha negli occhi le mie primavere / perdute» – il moralismo vuoto, da applicare ciecamente e in ogni caso, passa necessariamente in secondo piano.
Tutto questo preambolo infinito essenzialmente perché oggi, 21 gennaio, ricorre l’anniversario della sua morte (avvenuta quarantuno anni fa, nel ’77) e volevo ricordarlo condividendo quelle che sono forse le mie due poesie preferite; non pensavo di avere abbastanza da dire, però, (o le idee abbastanza in ordine) per fare un post serio sulla sua figura, così mi sono messa a ricordare come era finito sulla mia strada e adesso, seicento parole più avanti, mi rendo conto che probabilmente non avrei dovuto preoccuparmi di essere, per una volta, senza vero materiale.^^
Comunque. Per chiudere questo post inaspettatamente corposo. Un paio delle mie poesie preferite. (Anche se credo sia già trapelato che trovare una “preferita” tra tutte le cose scritte da quest’uomo è per me leggermente complicato. Diciamo che, ecco. Le seguenti sono quelle che più m’illuminano senza motivo preciso, e spero che possano fare un effetto simile anche a voi. Sia che le conosciate già – rileggerle è sempre come leggerle la prima volta – sia che le scopriate adesso.^^)
La prima è quella di cui parlavo all’inizio, quella che l’ha messo per caso sulla mia strada (e che amerò sempre, credo, a prescindere dall’affetto adolescenziale, perché è esattamente questo che chiedo alla poesia: non un senso compiuto, preciso, razionalizzabile in interpretazioni coerenti, ma qualche salto ellittico dello spirito in cui tutto ha senso, di colpo, e nulla ce l’ha, ma tu ami lo stesso).
Non ami le pareti della tua
stanza. Hai negli occhi i papaveri rossi
in fuga. Il sorriso del giovane
acrobata. Il trionfo
di lui, o della tua
vita quando torna primavera.
E la seconda, più istantanea. Che per me è la cifra perfetta della sua poesia: chiara, malinconica, e al tempo stesso vivissima.
L’insonnia delle rondini. L’amico
quieto a salutarmi alla stazione.
(Uno potrebbe scrivere un romanzo di trecento pagine per sviscerare questa istantanea e la situazione che racconta senza neanche avvicinarsi alla magia evocata dal semplice accostamento di quelle due immagini apparentemente svincolate. Le rondini che volano e un saluto tra amici; un treno, il cielo – che uno immagina sereno – e il silenzio di due uomini che hanno chissà quale relazione. Il mondo, a volte, è davvero troppo grande per un taccuino.)
Ci sono altri versi, ovvio – i miei preferiti in assoluto sono la seconda parte di una delle poche poesie con titolo, “Sogno dello scrivano romantico”: «Viene l’ora d’amore. Ed è la storia, / Julien, della tua mano all’orizzonte», che amo in modo troppo istintivo per tentare di decifrarla razionalmente – ma non credo sia il caso di ricopiare l’intera sua opera; il mio proposito, oggi, era semplicemente di ricordare quello che resta uno dei miei poeti preferiti in assoluto. E magari, con un po’ di fortuna, di presentarlo anche a qualcuno che deve ancora scoprirlo.^^
Le ricorrenze, in fondo, servono soprattutto a questo.
Interessantissimo commento ad un autore che ho sempre conosciuto di nome ma solo ora scopro!! grazie per aver condiviso questi pensieri preziosi!! Micol
Sono felicissima di averti aiutato a scoprirlo.^^ Secondo me vale assolutamente la pena di approfondirlo, spero ti piacerà. ♥