È da qualche anno che ho riscoperto la letteratura Young Adult, o almeno, una sua corrente che, per qualche ragione, risulta particolarmente in sintonia con i miei gusti e interessi. Si tratta di romanzi per ragazzi, senza dubbio, con protagonisti adolescenti incastrati in situazioni più grandi di loro, e spesso contenenti qualche elemento fantasy più o meno preponderante, ma… la scrittura è decisamente più complessa e personale e bella (o almeno, quello che i miei gusti qualificano come bella) di moltissimi romanzi rivolti a un generico pubblico adulto, e soprattutto la trama mette al centro uno dei miei grandissimi amori: le dinamiche di gruppo, la complicità, la collaborazione, la sensazione di fare parte di qualcosa di più grande, non tanto a livello individuale quanto collettivo. Il fatto che la maggior parte dei romanzi a tema in cui mi sono imbattuta appartenga alla categoria Young Adult è… un po’ triste, per certi versi. Ma forse anche un’inevitabile conseguenza del disgregarsi dei legami nell’età adulta, la nostra incapacità – generica e collettiva – di mantenere, una volta cresciuti, quell’amore diffuso e intenso e indefinibile che spesso illumina l’adolescenza. Pur inseguendolo ancora, nel ricordo. Sentendone la mancanza, desiderandolo.
Alcuni, almeno.
Detto questo. I romanzi YA che leggo e amo di solito hanno tre caratteristiche più o meno costanti: la bella scrittura, l’attenzione alle dinamiche di gruppo e la presenza di almeno un personaggio LGBT. Quest’ultima caratteristica è di solito quella che mi invoglia ad avvicinare un nuovo titolo, e anche la ragione per cui mi sono probabilmente persa un sacco di storie belle che avrei probabilmente amato, perché… se non conosco l’autore (che poi, statisticamente parlando, è più che altro autrice), senza la rilevanza in ambito LGBT difficilmente scatta la molla necessaria a farmi iniziare. (E conoscere e amare l’autore non basta, o non sarebbe un anno che rimando la lettura di All The Crooked Saints di Maggie Stiefvater, pur sapendo che me ne innamorerò comunque.) Ne consegue che potrei parlare qui di tutti i titoli che ho amato, e d’ora in avanti cercherò di farlo un po’ meglio. Soprattutto quando è presente qualche traduzione italiana, nonostante i buchi imbarazzanti della nostra editoria. (Non perdonerò MAI la scelta inspiegabile di snobbare in questo modo la duologia di Leigh Bardugo – Leigh Bardugo!!! – Six of Crows.) Nel caso del romanzo di cui voglio parlare oggi – dopo questa introduzione assurdamente lunga – la traduzione è presente solo per il primo volume della saga, ma insomma. Secondo me, vale comunque la pena.^^
Quindi. Liars of Dreams, di Libba Bray.
Come accennavo, si tratta in realtà del secondo romanzo della saga The Diviners. Avevo apprezzato già il primo – tradotto da Fazi Editore con il titolo (a mio avviso poco azzeccato) La stella nera di New York – e immaginavo che il secondo mi sarebbe piaciuto ancora di più perché incentrato soprattutto sul personaggio gay che in The Diviners resta abbastanza marginale, ma… in realtà, questa è solo una delle ragioni per cui sento di consigliarlo.
Due parole sulla trama: The Diviners, come saga, ha due caratteristiche principali: la prima è l’ambientazione nella New York degli anni ’20, un periodo storico con cui di solito non vado molto d’accordo ma che Libba Bray esplora in modo magistrale, approfondendone soprattutto le zone d’ombra: e quindi eugenetica, razzismo, povertà e agitazioni sociali, insieme all’ottimismo sfrenato di quegli anni che dava a tutti, comunque, la sensazione di potere reinventarsi. La seconda è l’interesse per l’occulto: mitologia e fantasmi e parapsicologia, divinazione, fenomeni psichici inspiegabili. I ragazzini protagonisti (e sono parecchi) hanno tutti qualche mistero o dono segreto che stanno accettando o nascondendo al mondo: chi può leggere il passato delle persone solo toccandone gli oggetti (e, nel primo romanzo, sfrutta questo potere per risolvere il caso di un inquietante serial killer), chi è un guaritore di quartiere famoso per operare miracoli (un meraviglioso poeta nero di Harlem, che sogna di calcare le orme di Langston Hughes), chi sfrutta il dono dell’invisibilità per fare il borseggiatore, chi è letteralmente il prodotto di una scienza che vede nell’eugenetica – e nelle sue inevitabili derive razziste – una soluzione accettabile per i dolori del mondo. Il primo volume mi era piaciuto molto nell’impostazione (scrittura e personaggi sono favolosi) ma mi aveva deluso un po’ sul finale, perché la quantità di personaggi messi in gioco rende difficile non lasciarne nessuno indietro, l’azione corale si riduce a interventi molto individuali o al massimo di coppia e, diciamolo, l’inspiegabile bisogno di infilare triangoli amorosi in ogni singolo YA di successo porta l’autrice a concentrarsi di punto e in bianco su una coppia piuttosto improbabile per cui io non avevo visto assolutamente alcuna preparazione. Il secondo volume ha risolto molti dei (comunque lievi) difetti del primo e, in particolare, ha spostato l’attenzione dal tema del demonio (che personalmente ODIO) a quello dei fantasmi (che AMO tantissimo) offrendo una delle rivisitazioni del tema più interessanti ed efficaci che ricordi di avere mai letto.
Protagonisti indiscussi (pur restando nell’ottica di un romanzo corale che in realtà porta avanti molte trame parallele) di Lair of Dreams sono Henry DuBois, pianista gay che vive in una specie di relazione platonica (meravigliosa) con una delle protagoniste più interessanti della saga e ha la strana abilità di viaggiare nei sogni degli altri, abilità che sfrutta, notte dopo notte, per tentare di contattare il suo vecchio amante, Louis, abbandonato per forza di cose a New Orleans quando ha dovuto fuggire di casa e dalla famiglia; e Lin, studentessa cinese appassionata di scienza che ha un potere analogo di viaggiare nei sogni, ma in queste occasioni tende a mettersi in contatto solo con i morti. Sullo sfondo, e a motivare il loro incontro, una misteriosa malattia che, partendo da Chinatown e legata agli scavi della Metropolitana, sta condannando sempre più persone a un sonno da cui non saranno più in grado di svegliarsi. E la cosa più bella non è tanto la trama, che pure è interessante (e, non mi stancherò di ripeterlo, straordinariamente vivida e connessa alla storia della città), ma il modo in cui il tema dei fantasmi (presentato in ottica molto perturbante, con suggestioni subito accantonate, evidenze che in fondo sospetti da subito ma ti rifiuti di credere e dolore struggente) viene sfruttato appieno, nel suo potenziale metaforico e critico. I fantasmi del romanzo sono i fantasmi dell’America stessa: sono la violenza, il razzismo, l’avidità, l’orrore; sono incroci di strade cancellate dal tempo, promesse infrante, paure rimosse. E ritornano, per tutti, nella trama di Henry e Lin in modo macroscopico ma in forma minore anche in quelle degli altri personaggi: sotto forma di violenze subite, paure mai ammesse, persone perdute e ricordi intravisti quasi per errore. I fantasmi sono ovunque, nella città e nella sua storia (simbolica la discesa nelle viscere di una stazione sotterranea già caduta in disuso), ma anche nel suo presente e nel suo futuro; sono intessuti nella trama stessa del Sogno Americano, teso a rimuovere la verità insanguinata delle proprie origini, e torneranno sempre. Finché non si troverà il modo di riconoscerli, onorarli; di ripercorrere i loro passi e dare loro giusta sepoltura.
E nulla. Adoro i fantasmi. Soprattutto quelli che, più che incutere timore, ci ricordano da dove arriviamo, e cosa dobbiamo davvero temere.
E Lair of Dreams tutto questo lo fa molto bene.
Se vi piacciono i romanzi storici, o gli Anni Ruggenti; se vi interessano le dinamiche sociali di un decennio che, forse più di altri, ha gettato le basi del nostro presente; se vi piacciono i fantasmi, e l’occultismo, e avete voglia di leggere una saga monumentale (più di cinquecento pagine a libro) in cui una banda di adolescenti ostinati prosegue ognuno per la propria strada all’inseguimento di un sogno – o nella fuga da un incubo – accorgendosi pian piano che ciascuna di queste strade traccia un reticolo che, in qualche modo, finisce per intrappolare tutti in un disegno più complesso, The Diviners potrebbe essere la saga che fa per voi.
(Poi, davvero, abbiamo uno spregiudicato pianista gay di New Orleans che tenta di sfondare nella scena musicale newyorkese e una studentessa cinese che viene lentamente a patti con la propria sessualità sfidando persistenti ondate di razzismo, e un poeta afro-caraibico innamorato di una ballerina che si finge russa per sfuggire al suo passato in un periodo storico in cui le relazioni interrazziali erano pericolosissime, e un truffatore di origini ebraiche impegnato nella ricerca segreta di sua madre, e la figlia di due agitatori socialisti che è stata cresciuta a pane e uguaglianza sociale nella stessa città capitalista che sta impiccando Sacco e Vanzetti. Come si può non amare ogni cosa?)
Qui sotto, la quarta di copertina italiana dell’unico tradotto:
Evie O’Neill, dopo aver suscitato l’ennesimo scandalo nella noiosa cittadina di provincia in cui è nata, viene spedita dai genitori a vivere nell’effervescente New York City – e la ragazza ne è entusiasta. New York è la città dei locali, del contrabbando, dello shopping e del cinema, e non passa molto che Evie stringe amicizia con irriverenti Ziegfeld girls e scapestrati ragazzi di strada. Evie però non fa conoscenza solo con le luci sfolgoranti dell’età del jazz, ma anche con gli oscuri anfratti del Museo americano del Folclore, della Superstizione e dell’Occulto, che suo zio Will Fitzgerald – presso cui abita – dirige con l’aiuto di Jericho, uno strano ragazzo sempre immerso nella lettura.
E quando una serie di omicidi a sfondo esoterico e riconducibili a uno spirito che torna dal passato vengono a galla, Evie e suo zio sono chiamati a collaborare alle indagini, e sono proiettati al centro del sistema mediatico. I due si lanciano nelle ricerche, ed è allora che quel misterioso potere divinatorio che la ragazza sa di avere si rivelerà utile a catturare il killer, prima che sia troppo tardi.
Dati tecnici
Titolo: La stella nera di New York
Autore: Libba Bray
Traduttrice: Donatella Rizzati
Casa editrice: Fazi Editori
Anno di pubblicazione: 2012
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Titolo: Lair of Dreams
Autore: Libba Bray
Casa editrice: Little, Brown Books for Young Readers
Anno di pubblicazione: 2015
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