Fun Home, di Alison Bechdel, è un libro che volevo leggere da anni – in realtà, voglio leggere da anni l’intera bibliografia dell’autrice – ma dato che con le graphic novels non sempre vado d’accordissimo (più che altro perché ho la spiacevole tendenza a leggerle soltanto, dimenticandomi o quasi della parte grafica) avevo sempre rimandato. Dato che la Read Harder Challenge di quest’anno però ha ben tre voci al riguardo, mi è sembrato fosse l’occasione perfetta. E sono così felice di averlo fatto, perché davvero. La qualità letteraria di questo memoir grafico è così alta, complessa, intricata, da lasciarmi sbalordita.
Ma prima di tutto, due parole sull’autrice. Alison Bechdel è una fumettista lesbica statunitense, femminista, che è diventata famosa soprattutto (cioè, non solo, ma in modo forse svincolato dalla sua carriera artistica) per la coniazione dell’ormai arcinoto “Bechdel Test”, un parametro per valutare la disparità di trattamento tra personaggi maschili e femminili nel cinema: in una striscia della sua celebre serie Dykes To Watch Out For (Lesbiche a cui fare attenzione), la protagonista afferma che riprenderà ad andare al cinema solo quando potrà vedere un film in cui 1) due donne dotate di nome 2) intrattengono una conversazione 3) non incentrata su un uomo. Tenere a mente questa provocazione – e applicarla alla grande maggioranza dei film che ci passano davanti agli occhi, e a volte vengono anche premiati – è abbastanza agghiacciante perché, per essere condizioni così elementari, il numero di opere che le rispetta è davvero basso. Ma a parte l’acutezza di questa striscia particolare, e la rilevanza della serie da cui è tratta, Bechdel è famosa anche per due graphic novels autobiografiche in cui esplora il suo rapporto con i genitori. Il primo, di cui parliamo oggi – Fun Home: una tragicommedia familiare – è incentrato soprattutto sulla figura del padre, omosessuale non dichiarato morto in un incidente sospetto (nelle sue pagine, l’autrice si dichiara abbastanza convinta che sia stato suicidio) poco dopo il coming-out della figlia, con cui aveva fin dall’infanzia un rapporto complesso, ricco e frustrante, intessuto di immedesimazioni e proiezioni e passioni comuni.
Come ogni memoir, Fun Home è una ricostruzione a posteriori: la vita – le vite – lì raccontate sono una narrazione, prima di tutto, e hanno un equilibrio, un’armonia, una corrispondenza che è possibile ricreare solo in un secondo tempo. L’autrice sceglie di tematizzare proprio questo, però, e invece di fingere un’onniscienza poco plausibile trasforma la scrittura in un percorso di rielaborazione; in uno sforzo, manifesto nelle pagine stesse, di dare ordine e senso ai dati e ai ricordi, quasi a esorcizzarne gli angoli oscuri, le falsificazioni, i dubbi, le domande e i silenzi scesi, definitivi, a cancellare la possibilità di conoscere le risposte. Il suo è un percorso quasi archeologico di scavo nel passato, in cui diari e ricordi vengono interrogati – non solo letti, ma svelati nel loro essere una costruzione fittizia, costellata di silenzi e bugie e cancellature – con una chiave rintracciabile solo a posteriori. E troviamo quindi le ansie di una presentazione di genere imposta e normativa – rinforzata da quel padre che ne era vittima a sua volta, in un gioco di specchi che vede la figlia sognare una mascolinità che non ha nulla a che fare con l’attrazione, e il padre tentare di vivere vicariamente tramite lei le codificazioni di una femminilità a lui preclusa – la claustrofobia e lo smarrimento di scelte esistenziali opposte, la confessione commovente e spaventosa dei disturbi ossessivi-compulsivi che hanno governato l’infanzia, il rapporto dei genitori visto da occhi al tempo stesso adulti e bambini, la vita parallela che il padre portava avanti di nascosto, intuita solo in seguito dagli indizi che aveva sparso nel tempo. E troviamo anche la narrazione autobiografica della presa di coscienza della propria sessualità, i primi amori e il modo in cui si sono intrecciati alla scoperta della letteratura, alla consapevolezza politica. New York, e la sua vita culturale, la meta impossibile del padre che diventa il terreno in cui la figlia vive e sboccia e cresce.
La cosa che mi ha colpito di più, però, è l’ampiezza dei riferimenti letterari. Sono continui, sia obliqui sia diretti, e costituiscono la trama del racconto tanto quanto i fatti biografici. Da un lato Bechdel offre la bibliografia essenziale del suo percorso: e troviamo Proust, quindi, amatissimo dal padre; troviamo Joyce, e altri giochi di specchi; l’autobiografia di Colette, Virginia Woolf, Kate Millet. Ma ancora più profondo e pervasivo è il modo in cui i miti di Dedalo e Icaro – con pertinenza agghiacciante – vengono costantemente rivisitati per organizzare il percorso in quel labirinto familiare, per trovargli senso e logica, bellezza, energia e amore. Ho trovato commovente, in un modo difficile da spiegare, la maniera in cui queste storie echeggiavano l’una incontro all’altra per mettere in luce questo o quell’aspetto di una vicenda tanto particolare, come se davvero le storie, i miti, persino le leggende costituissero un alfabeto più intenso, capace di codificare significati complessi e, al tempo stesso, illuminarne di nuovi, sostenendosi e puntellandosi a vicenda.
Lo consiglio davvero a tutti, a chi ama le graphic novels e a chi fatica a entrarci, a chi apprezza le autobiografie e a chi invece le sfugge, a chi ama le storie ironiche, quelle struggenti, quelle spaventosamente oneste; a chi ama la critica letteraria e a chi, come l’autrice stessa, conserva una prudente diffidenza nei suoi confronti. A chi vorrebbe fuggire e a chi si trova a restare. A chi ha coraggio, e chi non è sicuro di averlo. E, in generale, a chi vuole leggere qualcosa di immensamente prezioso a prescindere dal mezzo.
Presentazione dell’editore
Alison ha amato e temuto suo padre Bruce, un uomo enigmatico, distaccato, perfezionista. Gli altri membri della famiglia non sono da meno: a casa Bechdel la dedizione all’arte nelle sue varie espressioni, e il consolatorio appagamento che può offrire, hanno sostituito il calore e il nutrimento di una vera “casa”. La distanza tra padre e figlia potrebbe finalmente dissolversi quando i due si confessano il segreto che li accomuna, l’omosessualità. Questo spiraglio verso una più profonda comunione, però, si richiude drasticamente: Bruce muore, forse per un tragico incidente o forse per un atto disperato. Alla figlia non resta che immergersi in un viaggio nella memoria, penoso e appassionato al tempo stesso, per ricomporre e rielaborare la propria storia e quella della sua famiglia. “Fun Home” è il diario di questo viaggio, un memoir a fumetti in cui la ricchezza dei testi dialoga con l’eloquenza del disegno. Alison Bechdel sa fondere la finezza dell’ironia, delle citazioni, dei riferimenti letterari con la brutale onestà necessaria per raccontare le tensioni sotterranee della vita familiare e i conflitti che accompagnano la presa di coscienza della propria identità sessuale. “Fun Home” è la prova della maturità di una narratrice. E un esempio della potenza espressiva del graphic novel contemporaneo.
Dati tecnici
Titolo: Fun Home – Una tragicommedia familiare
Autore: Alison Bechdel
Traduttrice: M. Recchiuti
Casa editrice: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2007
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L’ho letta un paio (?) di anni fa e mi è piaciuta tantissimo!💜 Nemmeno io sono una grande frequentatrice di graphic novel, ma è proprio un peccato non leggere Bechdel solo per questo…
Sono d’accordissimo, sì.^^ Anche perché davvero, scrive in un modo così letterario che è super apprezzabile anche se ogni tanto ti scopri – come capita puntualmente a me – a leggere quasi solo le scritte senza soffermarti troppo sui disegni. Merita tantissimo. <3