Quando penso al chihuahua, una delle prime immagini che visualizzo proviene direttamente dal repertorio di Elliott Erwitt: il mondo appiattito in una prospettiva rasoterra, dove le zampe di un alano diventano instabili tronchi d’albero e gli stivali di una donna si trasformano in colonne di bronzo che minacciano di crollarti addosso da un momento all’altro.
Per il minuscolo chihuahua, il mondo deve apparire come un gigantesco palcoscenico fuori misura. Tutti sono più grandi, tutti più forti. Sembra proprio che non ci sia posto, per una pulce di pochi centimetri, in un universo sviluppato in verticale.
Eppure, strano a dirsi, non risulta che il chihuahua se ne sia mai fatto un problema: al di là delle apparenze lui è un cane, ed è estremamente consapevole di esserlo. Che importa se la gente rischia di calpestarti? Basta abbaiare furiosamente, e stai certo che anche i più distratti si accorgono di te. Tutti i tuoi simili sono più alti? Che problema c’è? Tu mordi, non scherzi mica. Non come quei cani che sembrano cavalli e che poi di fronte a un gatto fuggono con le orecchie basse e la coda fra le gambe.
Farsi rispettare è un’arte, e il chihuahua ha le sue strategie. Ha anche una sua autostima incrollabile, la stessa di chi sa bene che se gli altri sono ciclopi un pò tonti e bonaccioni, tu invece sei un microbo col cervello funzionante. Bisogna solo valutare attentamente a chi accordare la propria fiducia, riflettere e ragionare e ponderare. Nascondersi, quando è il caso. Ma mai rinunciare alla propria dignità.
Per questo la più grande sfiga che da sempre minaccia il chihuahua non è il suo peso nè la sua altezza al garrese, e non è neanche l’irruenza dei suoi simili o il rischio costante di soffocarsi con un croccantino più sostanzioso: la peggior maledizione del chihuahua è il berrettino – il berrettino e i suoi innumerevoli accessori, a voler essere precisi. Unito alla predilezione che le vecchiette sembrano avere per la razza, questa disgrazia può assumere le tinte di un vero e proprio incubo per l’equilibrio mentale del minuscolo cagnetto: mantelline lavorate ai ferri, cappellini fatti a maglia, pom pom e nappine. E poi la borsetta, lo spauracchio più temibile.
Non c’è da stupirsi che certi chihuahua finiscano per sviluppare una crisi d’identità profonda: improvvisamente confuso sulla sua vera natura – sei un cane o un pelouche? Mhhhh… – il piccoletto inizia ad intuire di aver concesso la propria fiducia alla persona sbagliata quando i cosmetici e il portafoglio gli diventano più familiari dell’erba di un prato o del marciapiede.
Certo, è comodo riposarsi nella borsetta quando la passeggiata è lunga e le tue zampe bonsai si stancano facilmente; ed è piacevole essere avvolti di lana quando fuori fa freddo, su questo ovviamente non si discute. Ma quando hai un costume da superman pronto per te dentro l’armadio e inizi a guardare con inconsueta empatia i nastrini di raso dei maltesi, ti rendi conto che nella tua vita qualcosa è per forza andato storto. Che fare, allora?
Molti chihuahua si estraniano dal presente, rifugiandosi nel ricordo di un tempo mitico: principesse azteche che ti adorano come un dio, artigiani che modellano la tua effige in statuette preziose. Bei tempi, verrebbe da dire. Macchè.
Pur nella suadente promessa di riscatto del suo sogno lucido, la memoria akashica del chihuahua sa bene quale destino toccava allora in sorte alle divinità come lui: quello di accompagnare i padroni nell’aldilà, cosa che evidentemente non puoi fare da vivo. Sarà stato pure un cane senza berrettino, nell’antichità, ma il chihuahua non è un cane scemo. L’abbiamo detto.
Quindi, pensandoci bene, fra un passato da Caronte e un presente da pelouche sceglierebbe sicuramente un’efficace via di mezzo: indossare il costume da superman, con finta rassegnazione, e poi azzannare ferocemente chiunque lo guardi anche solo di sfuggita. Si dirà che è un cane un pò isterico, ma vabbè. Pazienza.
Che ne sa il mondo, alla fine, di cosa significhi essere un nano in un mondo di giganti?