Oggi Opera compie ufficialmente due anni, e con lei un po’ anche la nostra avventura.
Sono sempre particolari queste occasioni in cui ci si ritrova – o mi ritrovo io – a fare i bilanci di un percorso, cercando di soppesarlo dall’esterno, stupendosene o ritrovandoci anche altro. Svolte inattese, delusioni, soddisfazioni del tutto impreviste.
Qualche mese fa ho seguito – senza partecipare, credo, perché sono io – un dibattito sulla rilevanza del romanzo d’esordio, come se fosse una sorta di biglietto da visita, qualcosa che presenta te, e ciò che vorresti fare, al mondo. Nel caso mio e di Sabrina è un po’ più complicato, credo, perché per certi versi abbiamo “diversi” esordi: io avevo già pubblicato I segreti delle lucciole prima, quasi una “prova generale” che in realtà ha preso tutta un’altra strada – a volte guardo i numeri delle persone che l’hanno scaricato e mi danno un po’ le vertigini, anche se so che i lettori effettivi saranno di certo ancor meno della metà – e quest’anno è arrivato Folco, che per certi versi rappresenta un altro esordio ancora, quello con casa editrice. E quando usciranno gli Aironi per me sarà ancora diverso, perché si tratta del primo romanzo che ho scritto da zero nell’ottica della pubblicazione, invece di rielaborazioni di storie già presentate online nel corso degli anni.
Opera, però. Nonostante tutto questo, a livello profondo, se penso al romanzo che più ci rappresenta, che indirizza il nostro percorso, torno sempre su Rowan. Su Edward. Su quella storia complessa, condensata, sui pomeriggi passati a limarla in ogni singola virgola; sul piacere viscerale che mi provocano ancora adesso certi giri di frase, l’impossibilità di capire se siano miei o di Sabrina; sulla complessità di quelle dinamiche costantemente in bilico, piene di ombre, e un narratore inaffidabile perché suicida. Del tutto disinteressato a uscire vivo dalla sua storia, che vive come violenza – come rifiuto – ogni tentativo esterno di salvezza.
Ci abbiamo pensato soltanto dopo, in realtà, che era un po’ suicida anche per noi, cominciare proprio con questa storia. Farlo in maniera così incosciente, leggera, senza preparare il terreno, senza prendere le dovute precauzioni per evitarci uno schianto emotivo; sbagliando tutto ciò che potevamo sbagliare, probabilmente, tranne la storia stessa. Che, nella sua inevitabile imperfezione, rimane ancora oggi la traduzione più fedele che potessimo dare a qualcosa che sentivamo bisogno di esprimere.
In questi due anni abbiamo provato a correre ai ripari in modo altrettanto esagerato: accantonando il romanzo, non promuovendolo, vivendo quasi nel terrore che qualcun altro lo leggesse e rischiasse di odiarlo. (Non c’è bisogno di dire che è un atteggiamento assurdo, poco costruttivo e molto immaturo, e decisamente esagerato anche rispetto alla sua effettiva accoglienza: perché ci ha portato a concentrarci di più sulle persone che hanno vissuto la lettura come un’esperienza negativa rispetto a quelle, molto più numerose, che ci sono state vicinissime, e ci hanno commosse con le loro parole e i loro vissuti.) Per non parlare del fatto che il seguito, che in teoria sembrava già quasi pronto due anni fa, è rimasto bloccato a uno stadio larvale: ogni volta che provavamo a metterci mano, venivamo prese dal panico all’idea che questa storia, altrettanto complessa ma in maniera piuttosto diversa da Opera, potesse non incontrare il favore neanche delle persone che avevano amato il romanzo precedente. (Panico che c’è ancora, ovviamente, ma che stiamo cercando piano piano di superare; perché alla fine le storie vanno scritte, e trovano una loro strada, e se ci fosse anche sola un’unica persona che potrebbe trovarci dentro quello che ci abbiamo trovato noi pensandola e scrivendola, varrebbe comunque la pena di metterla a sua disposizione.)
Il proposito, per questo nuovo anno che in parte inizia adesso, e in modo più concreto e canonico tra un mese esatto, sarebbe di lasciarsi un po’ alle spalle il terrore di non piacere, e riprendere a tracciare la nostra strada seguendo quello che ci ha guidate da sempre: il nostro gusto, le nostre passioni, il nostro modo di vivere i personaggi e la scrittura. Senza aspettarsi, o pretendere, che piacciano a tutti, ma senza preoccuparsi neanche troppo del fatto che potrebbero forse piacere a pochi.
Opera al Rosso – il legame che ci lega ai personaggi, la particolarissima catarsi che la sua stesura (e rilettura periodica) rappresenta, la soddisfazione e le ferite brucianti che ci ha provocato in questi due anni di vita – può offrire un buon monito, e tracciare la rotta. Sperimentando, tentando nuove vie e cercando di approfittare di ogni opportunità. (E qualcuna all’orizzonte, piccola ma interessante, in realtà c’è.^^)
Speriamo che Rowan ed Edward – concretamente più Rowan, in effetti, ma Edward è dentro di lui, anche se lontano, parte integrante di ogni sua esperienza – possano tornare presto nella vita di chi vorrà seguirli: da parte nostra almeno, nonostante il silenzio di questi due anni, c’è l’impegno a portare avanti la loro storia e continuare ad accompagnarli, passo a passo, verso un finale diverso. Ritagliato su di loro.
Non facciamo promesse sulle date, ma… ci impegnamo a tentare.
E vi ringraziamo tantissimo di essere ancora con noi.
Molto rapidamente, in coda a questo post che parla di altro, qualche aggiornamento del mese: la storia di Viv e Carlos procede – è in dirittura d’arrivo, in realtà, e spero riuscirà a concludersi prima della fine dell’anno – e ha anche un titolo (provvisorio, ma che amo parecchio e potrei tenere davvero). Nel prossimo aggiornamento, spero di riuscire a comunicarvelo.^^
Tra un paio di giorni – lunedì 3 – esce per la Triskell un romanzo che ho tradotto quest’estate e amato tantissimo: Sotto un cielo di cenere, di Brandon Witt, che consiglio un po’ a tutti perché secondo me merita davvero molto (e credo sia abbastanza evidente che non lo dico perché l’ho tradotto io, considerata la sproporzione imbarazzante tra il numero di libri che ho tradotto e quelli di cui ho effettivamente parlato in giro, e questo nonostante la maggior parte mi siano piaciuti lo stesso).
In questi giorni è uscito un nuovo libro di poesie di Andrea Gibson – poet* queer che amo da anni – e, anche se non l’ho ancora letto, sento di consigliarlo un po’ a scatola chiusa: Lord of the butterflies (che tra l’altro è un titolo meraviglioso).
E giusto perché non ne ho ancora parlato, anche se interessa soprattutto chi legge in inglese, ci tenevo a sottolineare che anche quest’anno il National Book Award ha avuto una bella componente queer: il vincitore del premio di poesia è Justin Phillip Reed, con Indecency, che parla – nel modo in cui può parlare la poesia, presumo, che è sempre emozionante e trasversale ed esplosivo – di sessualità e mascolinità e razzismo (ovviamente io l’ho già messo in lista) mentre tra i finalisti della sezione di narrativa c’era anche The Great Believers di Rebecca Makkai, un romanzo che parla, tra le altre cose, dell’impatto brutale che l’AIDS ebbe sulla scena queer di Chicago, e che ho scoperto proprio ieri uscirà in Italia l’anno prossimo per Einaudi.
Io faccio sempre molta fatica a tener traccia di ricorrenze o anniversari, e meno che mai sono portata a elaborare bilanci a scadenza regolare. Anche riguardo a Opera, quindi, non mi era neanche passata per la controcassa del cervello l’idea dei due anni trascorsi: non ho tirato le fila di niente, non ho fatto riflessioni, non ho scritto nessun post.
Però almeno due parole mi sento di scriverle, sull’argomento: a livello di strategia promozionale, Opera è stato sicuramente il più improbabile romanzo di esordio che potevamo scegliere ed è stato un estenuante stillicidio emotivo a cui non eravamo in alcun modo preparate. È stato una specie di roulette russa, un salto nel vuoto spiccato con la più assurda incoscienza. Forse, da molti punti di vista, è stato davvero un errore.
Eppure, se potessi tornare indietro nel tempo, sceglierei ancora Opera come prima pubblicazione: a Opera sono legata più di quanto lo sia a qualunque cosa io abbia mai scritto, a volte mi basta rileggerne una frase per sentirmi scavare lo stomaco e spesso la consapevolezza di quanto le dinamiche della storia siano paurosamente simili alla mia personale idea di bellezza mi mette i brividi.
Di certo è un romanzo difficile, un microcosmo ermeticamente sigillato che probabilmente rigetta la presenza di chiunque vibri a una tonalità appena diversa. Ma è comunque la mia tonalità più bella, anche se forse non la più vera. Ed ha un’armonia intrinseca che credo non smetterà mai di emozionarmi, non importa quanto sarò cresciuta o quanto tempo sarà passato. Non importa quanto il resto del mondo comprenda.
Dentro Opera io ci sono stata con tutta me stessa, in maniera viscerale e assoluta. In maniera suicida e ostinata. È paurosamente vera.
Con poche altre cose, nella mia vita, posso dire di aver fatto lo stesso.