Sabato, alla libreria Antigone di Milano, si è tenuta la prima presentazione degli Aironi: è stata una giornata strana e bellissima, completamente diversa dalle visioni più o meno catastrofiche che mi hanno tormentato per settimane (ho cercato di stressare il meno possibile, ma direi che… non l’ho proprio vissuta bene^^). Si è parlato degli Aironi e di Nico&Blue (e quindi di EFP, di quella prima storia incompleta e del nucleo che l’ha originata^^) ma anche di generi letterari, temi e classificazioni, dell’importanza di avere luoghi che raccolgano testi a tematica LGBTQ (che siano librerie intere&bellissime, scaffali o semplici siti e blog) e dell’eterna domanda (a cui personalmente non ho ancora trovato risposta) sull’esistenza o meno di un “genere” LGBTQ. Era la prima volta, credo, che mi capitava di parlarne in gruppo, dal vivo, invece che in discussioni sul web o con persone singole, e sicuramente era la prima volta che mi capitava di prendere parte a discussioni del genere seduta da quella parte, come interlocutrice invece che spettatrice.^^ È stato interessantissimo, e un privilegio che ricorderò a lungo.
Più ancora delle questioni affrontate, però, o della gioia di ritrovarmi a presentare un mio romanzo in un posto splendido come la libreria Antigone, credo che la cosa più bella siano state le persone. (Fa sempre strano dirlo, per un’asociale come me.^^) Ho rivisto inaspettatamente “colleghe” bellissime, abbracciato finalmente dopo anni di affetto virtuale qualcuno che porterò nel cuore per sempre, trascorso una splendida giornata milanese con due delle mie persone preferite che per qualche miracolo della rete e della vita sono diventate veri punti fermi della mia quotidianità, e non so. Mi ha toccato così tanto, in un modo difficile da spiegare adesso e che sono sicura di non aver saputo rendere allora, quando ero così fusa, e piena di ansia non ancora scemata, che mi sentivo sul punto di scoppiare in lacrime ogni cinque minuti senza neanche capire se era stanchezza o commozione.
Dopo la presentazione siamo andate a mangiare un boccone, e ritrovarmi lì con loro, fisicamente, ricordare i modi e i tempi in cui le ho conosciute, vedere le persone meravigliose che sono diventate, pensare a quelle che mancavano e in qualche modo c’erano lo stesso (e sono tante, davvero, a cominciare da Sabrina stessa, che non era lì di persona ma sentivo comunque vicinissima), mi ha reso ancora più grata alla Rosa, a tutto ciò che si è creato al suo intorno. E non so. Cercavo di ricordare cosa ci avesse spinto a scegliere quel titolo – Rosa dei Venti – e, a parte il ricordo confuso di una pagina ricoperta di parole in brainstorming, mi torna in mente solo l’idea che era un po’ la chiave di lettura di tutto: il viaggio, la necessità di qualcosa che offra un orientamento. Era nel titolo del romanzo di Sam, Coordinate, in quello del primo capitolo della storia, era il nome del forum creato da Mari ed è quello che sta ancora alla base del progetto ibrido e confuso che è Effemeridi: tutte declinazioni di uno stesso motivo. E pensavo – in un modo forse troppo presuntuoso, ma che in quel momento sapeva solo di appartenenza, condivisione, qualcosa di più grande di me e di cui ero semplice tramite – che la Rosa è stata davvero una bussola, per me, come la rosa dei venti di un tatuaggio che sabato sera ho potuto sfiorare con la punta delle dita, mi ha portato persone che condividono con me qualcosa di indefinibile – un gusto, un pensiero, un amore – e che mi hanno dato tantissimo, a cui spero di essere riuscita a dare altrettanto. E non so.
Sentivo così tanto amore, per loro, per la serata, per la scrittura stessa: e dopo l’ultimo periodo credo che avessi bisogno davvero di questo. Uno sguardo tenero, accogliente, che quando ti vede in difficoltà sa aiutarti senza fartelo pesare. (Che poi è l’amicizia, lo so, ma è difficile accettare di meritarlo, in alcuni momenti. Come se il fatto che le persone imparino a volerti bene significasse automaticamente che il loro apprezzamento è falsato, o vale meno di quello di uno sconosciuto, anche se all’inizio sono diventate tue amiche proprio perché apprezzavano il tuo lavoro, e anche se una delle ragioni che hanno causato la crisi confusa degli ultimi mesi è invece il mancato apprezzamento di chi ti ama in modo del tutto incondizionato.) Spero che, se dovrò trarre un solo insegnamento da questa esperienza, sarà quello di convincermi che non esiste una cosa sprecata. Nessuna parola, nessun istante, nessuna storia finita nel posto sbagliato. Tutto è un tassello, un passo che ti porta in qualche direzione, e se anche non fosse quella migliore, pace. Hai visto qualcosa di diverso. La prossima volta, forse, imboccherai un percorso più giusto.
Ho passato gli ultimi mesi a chiedermi che cosa volessi fare davvero, della scrittura, della mia vita, delle cose che mi bloccano e di quelle che mi sostengono. Una risposta non esiste, immagino, e anche se fosse possibile trovarla non basterà una serata inaspettatamente serena e appagante per mettermela in mano, come se fosse una cosa già fatta invece che una consapevolezza da costruire piano piano, tassello su tassello, un passo dietro l’altro. Ma la giornata di sabato, spero – è difficile sapere come il mio cervello immagazzinerà quelle emozioni, ma posso provare a influenzarlo – mi ha aiutato a fare pace con quei dieci anni trascorsi a scrivere gratuitamente, non in senso economico, ma generale: senza uno scopo in mente che non fosse quello di esplorarci e condividere. Ho ricordato che non solo amo scrivere – e negli ultimi giorni anche questo era stato messo quasi in discussione – ma che la scrittura per me è sempre stata uno strumento (l’unico che sento di saper maneggiare davvero) per stringere i rapporti, per creare ponti e aprirmi quando non riesco a farlo in altri modi, e che questo non è per forza un limite o un palliativo. Può essere anche vero, e può toccare anche altri. In modo miracoloso e duraturo, tanto che dopo dieci anni ci si ritrova insieme intorno a un tavolo a ricordare siti ormai archiviati e stampate del computer, tempi diversi e un senso di comunità che faceva bene in modo quasi collettivo. Piccolo, ma a misura del suo mondo. E che forse questo mondo può allargarsi anche piano piano, senza bisogno di grandi salti. Senza necessità di riconoscimenti esterni, corse contro il tempo, disconoscimenti.
Più che tutto, però, credo – spero – mi ha ricordato che qualche rosa dei venti vive dentro di me comunque, dentro di noi. E che le strade della vita sono tante, e infinite, e che certe cose – domande, risposte, ricerche – sono come calamite. Attirano chi le cerca, fanno fare loro svolte inaspettate. E le persone si trovano, alla fine. Con i loro tempi. Nei loro modi. Con voci diverse. Forse aveva ragione Sam, quando sproloquiava di destino, anche se noi lo prendevamo in giro come se non fossimo noi stesse a scriverlo e pensarlo. Forse “destino” è il termine sbagliato. Ma qualcosa del genere c’era, a legare quel gruppetto, a estenderlo verso le persone che mancavano e che nominavamo, a raggiungere Sabrina, lontana. Ad abbracciarla, forse, spero, avvolgerla inconsapevolmente in quell’affetto che sentivo così forte.
E nulla. Avrei voluto trovare un modo migliore per ringraziarvi tutti: chi c’era e ho potuto abbracciare dal vero, chi mi ha scritto in privato prima o dopo, chi mi ha fatto compagnia da lontano e anche chi si è perso nel tempo, o torna soltanto a volte, per qualche saluto. Sono due giorni che mi rigiro questo post tra le mani, però, e non arrivo da nessuna parte. Potrei continuare all’infinito, mi conosco, ma a volte mettere un punto è la cosa migliore.
Neanche una fine. Soltanto un respiro.
Cercherò di fare scorta di questo inaspettato ottimismo, adoperarlo piano piano. Tentando di convogliarlo in altro. Cosa, vedremo.
Ma grazie davvero per tutto, e un abbraccio fortissimo.
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