Ho perso il conto delle volte in cui ho scritto o cominciato a scrivere questo post: la tentazione di saltarlo e proseguire come se niente fosse, come se questi tre mesi di silenzio fossero normale amministrazione – e potrebbero esserlo in fondo: per quel che vale la normale amministrazione in condizioni di emergenza internazionale, almeno – è fortissima. Potrei farlo, probabilmente, immagino che nessuno farebbe troppo caso a quel buco: sono stata assente per più tempo quando il silenzio era molto più insolito. Non ci riesco, però. Quindi, ennesimo tentativo.
Sono stati mesi strani, questi. E lo sono stati per tutti – per moltissimi molto più devastanti – ma per quanto mi riguarda si sono inseriti in una fase particolare e delicata del mio rapporto con la scrittura e presumo che abbiano accelerato un processo che in caso contrario sarebbe stato più graduale. Sono passata dal pensare che avrei festeggiato l’uscita di In luce fredda di persona in un incontro con i lettori della Triskell a Verona allo scomparire sostanzialmente nel nulla il giorno stesso della pubblicazione, adagiandomi nello sconvolgimento dell’inizio quarantena, e non so. Fatico un po’ a ricordare la persona che sono stata in quei giorni. I pensieri che facevo – ho seriamene progettato di scomparire dal web in modo definitivo? – e i progetti che abbozzavo – ho seriamente passato un pomeriggio a tentare di leggere Malombra di Fogazzaro come ricerca per uno storico paranormale ambientato a Torino? – sono avvolti in una stessa nebbia soffusa, che vela o affila i contorni del disagio: difficile capire anche questo. E non so, ora che la fase è passata, che sto pian piano cercando di riappropriarmi di uno spazio da cui in fondo nessuno ha mai voluto espropriarmi, sento il bisogno di lasciare qualche traccia di questa cesura. Per onestà verso gli altri, verso la scelta di lavorare con le parole e i racconti. Verso me stessa, anche, direi.
Non so bene cosa sia successo, in realtà. Presumo che sia stato un insieme di ansie collettive e private, l’interruzione brusca di una serie di cose che mi trascinavo dietro da mesi e che di colpo si sono rivelate fatica gettata a vuoto – l’arresto generico di marzo-aprile ha significato questo per tanti, presumo – e la sensazione sgradevolissima di essere molto più sola di quanto mi fossi resa conto nel momento esatto in cui pubblicavo un romanzo che per certi versi rappresentava la sintesi di un’esperienza per me molto collettiva, di comunità vera e propria. Il terrore di deludere le aspettative, che è sempre l’eventualità più difficile da affrontare. La paura un po’ illogica di aver coinvolto anche Sabrina nell’ipotetica sconfitta. E il ricordo di cosa è stata la Rosa, immagino, sotto a tutto questo: cosa è stata per me, intendo. Oltre alla distanza piuttosto considerevole che intercorre tra quello che scrivevamo allora – quello che scrivo ancora, in parte, anche se paradossalmente più alla cieca – e l’ambito in cui ci muoviamo adesso. Inteso in termini del tutto svincolati da giudizi di valore, sia chiaro: solo dal punto di vista di interessi, ambizioni, obiettivi, orizzonti mentali.
È l’unica questione rimuginata nei mesi di isolamento a sembrarmi ancora vera del tutto, in realtà. Nonostante il disagio che mi provoca ammetterlo, la paura di un fraintendimento e la totale assenza di energia per affrontare polemiche che negli anni mi ha portato a chiudermi sempre più in me stessa, espormi sempre meno. Tracciare un cerchio sempre più stretto intorno a quello di cui mi concedo di parlare, gli argomenti che mi sento qualificata a trattare. Questa rincorsa dell’afasia, un’afasia cercata, meditata, auto-imposta, che a volte fa sembrare davvero inutile ogni singola parola. E al tempo stesso è ormai così connaturata che diventa difficile sbloccarla se non in post chilometrici come quello che presumo di stare scrivendo, come protetta dalla consapevolezza che lo leggeranno ben pochi. Non il massimo, insomma, come strategia di marketing.
(E okay, sì, c’è il fatto che solo l’idea di marketing mi fa venire sempre più l’ansia, e aver abbandonato del tutto a se stesso In luce fredda rende in qualche modo ancora più forte la voglia di rinunciare alla promozione: ritrovare il piacere di scrivere e basta, farlo solo per sé. È qualcosa a cui ho lavorato molto, in questi mesi, credo di essere abbastanza a buon punto, almeno in questo. Avevo solo bisogno di metterlo nero su bianco da qualche parte. Segnare il passaggio.)
In tutto questo, c’è il fatto che le cose a cui ho lavorato in questi mesi – che non sono lo storico paranormale di Torino, sia chiaro, perché quell’idea dovrà restare in gestazione ancora qualche anno, credo^^ – sono davvero molto lontane da quelli che immagino siano gli interessi tipici di buona parte delle persone che hanno seguito il nostro percorso fin qui. Può darsi che il risultato mi sorprenderà, se mi deciderò a rendere pubblico il romanzo in stesura (per tutto marzo-febbraio sono riuscita a lavorarci solo ricordando a me stessa che non dovevo pubblicarlo per forza^^), ma credo che sia meglio per tutti, e soprattutto per me, se parto con la consapevolezza che sto facendo qualcosa di molto privato: che per certi versi sto impiegando un anno, e tre personaggi che amo moltissimo, in una storia che avrà una risonanza piuttosto limitata. Paradossalmente, è una prospettiva liberatoria: sto mettendo in quella storia una quantità imbarazzante di cose che amo, senza preoccuparmi dell’accoglienza del pubblico: poesia, scrittura, pochissimo sesso esplicito, relazioni ambigue e positive, che fanno dell’ambiguità la loro cifra centrale. Mark e tutto ciò che si porta dietro, come fantasma se non altro. Il fatto che la relazione centrale sia poliamorosa è al tempo stesso un ostacolo e uno scudo, perché so che fioccheranno considerazioni che mi faranno male ma al tempo stesso mi sto già preparando a non leggerle: penso a Theo come a un investimento a fondo perduto. Bellissimo, intimo, mio. La storia che voglio scrivere da almeno sei anni, con un protagonista che pensavo avessimo scartato in modo definitivo: c’è qualcosa di giusto anche in questo pensiero.
(È strano anche che sia la prima cosa che scrivo da adulta di cui Sabrina non è riuscita a leggere nulla, se non il prologo e un primo capitolo che mi ha fatto riscrivere praticamente da capo. C’è una scena con Sam, nel mezzo, che prima o poi dovrò sottoporre per forza al suo veto, e immagino che se avessi potuto appoggiarmi a lei in modo più massiccio avrei articolato alcune cose diversamente, ma ho anche la sensazione che ci sia qualcosa di giusto pure in questo: che rispecchi Theo, in qualche modo. E il rapporto di Sam con la storia sommersa che sto portando alla luce, in maniera obliqua, tanto sua quanto mia. È più nostalgia che altro, immagino, e lo straniamento di averle rubato un altro personaggio e averlo rimesso al centro della relazione per cui in fondo era nato, ma da cui in mano sua evadeva di continuo.)
E non so. A parte Theo – e Raven e Jude, ma malgrado loro siano il fulcro e lo stimolo il romanzo è Theo al cento percento – sto giocherellando con tante altre cose, in questo periodo, tutte ancora più lontane dall’ambito consueto. Nel pozzo profondo della depressione di marzo – prima che C. mi scrivesse entusiasta e mi desse il coraggio di riaprire il file di Theo – ho rivoluzionato del tutto il romanzo che immaginavo come seguito degli Aironi, perché mi era tornata voglia di storie corali (buffo, tra l’altro, considerando che Theo è invece un pov unico) e soprattutto di punti di vista femminili: così le 40k parole che avevo buttato giù l’anno scorso sono sostanzialmente congelate perché ogni volta che io revisiono riscrivo da capo, e già adesso, che ho scritto solo i primi due capitoli (temporanei), ho l’impressione fortissima che non riuscirò più a riallacciarmi all’evoluzione del rapporto tra Diego e Massimo che avevo cominciato a impostare: un po’ è un peccato, perché alcune parti mi toccavano molto, un po’ mi sembra inevitabile. E forse migliorare e alzare l’asticella, pretendendo di più da se stessi, significa anche questo: sacrificare qualcosa che ami a favore di una coerenza più ampia. (Sarà questo il vero significato del terribile consiglio di Kill your darlings?)
Per la prima volta da sempre, credo, poi, sto lavorando – anche se finora ho prodotto molto poco e nulla di neanche vagamente condivisibile con nessuno^^ – su storie che non hanno al centro una trama sentimentale: è qualcosa che mi spaventa ma al tempo stesso sembra sempre più importante. La prima è l’ultima rielaborazione di un’idea che mi trascino dietro da anni, una storia che vorrei molto atmosferica con al centro – un fantasma che torna – le ripercussioni causate dalla scomparsa di una ragazza dieci anni prima. Ho provato a infilarci dentro di tutto, negli anni – una delle iterazioni aveva Karl come coprotagonista – e mi impigliavo sempre nella soluzione di uno dei misteri: poi un mese fa mi sono trovata a leggere The Fever di Megan Abbot (che ho amato moltissimo: Einaudi ha cominciato l’anno scorso a tradurre qualcosa di suo, tra l’altro, spero che voglia recuperare anche la sua backlist come per Tana French, perché a quanto ho visto merita davvero) e qualcosa si è schiuso. Penso che il suo lago e Averno di Louise Glück mi terranno per mano, se e quando riuscirò a mettermici a lavorare sul serio. (La seconda storia è più scomoda e ambigua e dovrebbe essere incentrata molto profondamente sul rapporto tra due donne-ragazze-bambine e non so se riuscirò mai a scriverla, perché mi spaventa parecchio, ma il fatto stesso di avere in testa un’idea che mi spaventa, e ha coordinate concrete e due donne come protagoniste è un passo avanti così grande, per me, che per il momento mi basta.)
E non so. È un periodo strano, questo, come se la cerniera che sento di stare aprendo o chiudendo da un paio d’anni cominciasse a raggiungere gli ultimi gancetti: un po’ si inceppa, ma sta anche arrivando in fondo. Sto leggendo tantissimo, scrivendo meno di quanto vorrei – più per ragioni esterne tipo una traduzione terribile per cui dovrei consultare millemila saggi in periodo di biblioteche ancora chiuse che per mancanza di ispirazione – ma quello che scrivo mi convince, e mi convince anche quando poi decido di cancellare, e non so se adesso che ho finalmente sbloccato questo mutismo riuscirò a essere di nuovo più presente, sul blog e sulla pagina, non so neanche a quanti interesserà davvero continuare a seguirmi, ma era dai tempi di live-journal che non scrivevo così di getto parlando delle mie cose, ed è una bella sensazione. Potrei riprovarci, forse. E spero di tornare presto con qualche recensione.^^
(Mi è arrivata oggi l’edizione italiana di Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong, che ho già letto e amato follemente in originale: prima o poi qualcosa almeno di quello dovrò scrivere. E in realtà tra i propositi macinati mentre cercavo di capire che fare di questo dominio – inaugurato proprio prima di sprofondare nel silenzio^^ – ci sarebbe anche quello di allargare le maglie dei temi da affrontare, parlare di tutto ciò che amo e non solo di cose LGBT: potrebbe essere più coerente, credo. Ma insomma, vedremo.^^)
PS – È un po’ brutto mettere questo messaggio qui in fondo, quasi fosse secondario, ma ogni volta che ho provato a cominciare con questo mi sono persa in derive poco leggibili, quindi dovrò accontentarmi di un post scriptum: so che sono stata pochissimo presente in questi mesi, che ho fatto praticamente tutto quello che non sarebbe il caso di fare con un romanzo appena uscito, ma ci tenevo a ringraziare – anche se in ritardo – tutti quelli che hanno speso un minuto del loro tempo a dirmi o dire qualcosa su In luce fredda, e tutti quelli che hanno conosciuto o ritrovato e amato Carlos e Vivian. Non sono stata in grado di farlo puntualmente, spesso non sono riuscita neanche a leggere le recensioni in tempo reale, e me ne scuso, ma ogni singola parola è stata importantissima, e ve ne sono grata dal profondo. Grazie di cuore, davvero. <3