Ormai è tradizione, quasi: ogni volta che concludo un romanzo – ma anche nel mezzo della stesura, a volte, va detto – quando entro in quella fase un po’ spenta di decantazione e recupero delle forze, mi viene voglia di scrivere un thriller. E ogni volta, puntualmente, per qualche giorno gioco davvero con l’idea: riapro alcune delle trame mai portate avanti, rispolvero il background di certi personaggi. Provo a fonderli con altri.
Ogni volta l’ostacolo su cui mi areno prima ancora di cominciare è sempre lo stesso: che per scrivere un buon thriller hai bisogno di avere le idee chiare sul finale, quantomeno, e il finale (ma più in generale il senso del crimine da indagare, spesso anche il crimine stesso) è sempre l’aspetto su cui ho meno voglia di concentrarmi. Di tutte le idee che ho avuto al riguardo, non ce n’è una che avesse chiaro quel punto.
Viene da chiedersi perché continui a ricadere in questa tentazione. E la risposta è probabilmente che il mystery è un genere che amo – il mio preferito, credo, se escludiamo la narrativa letteraria – e gli argomenti che affronta mi prendono, ho voglia di leggerli e questo mi porta a pensare che avrei anche voglia di scriverli. Ma a quanto pare – e questa è una lezione che sto imparando solo in questi ultimi anni in cui ho cominciato a ragionare sulla scrittura in modo più serio – non sempre le cose che hai voglia di leggere sono anche quelle che hai voglia di scrivere. Non sempre gli interessi che possono tenerti legata a una storia per il tempo di una lettura anche approfondita riescono a mantenersi costanti per tutto il tempo infinitamente più lungo della stesura di un romanzo: tutte le fasi di brainstorming e ricerca e stesura e riscrittura e revisione.
Sono sempre più convinta che ci sia una differenza fondamentale anche tra coinvolgimento attivo e passivo, in questo senso: ci sono storie in cui hai voglia di tuffarti e lasciarti andare senza fare assolutamente nessuno sforzo aggiuntivo, e storie con cui hai voglia di passare momenti molto più difficili, di lasciarti coinvolgere, smontare e rimontare. Non solo storie per cui sei disposto a farlo: storie dove il piacere consiste proprio in quello. Storie così giuste e tue che leggerle e basta non sarebbe sufficiente, in cui hai voglia di inciampare, di litigare con la frustrazione, di cambiare tutti i piani e cancellare e riscrivere. Storie che hai voglia di scrivere non perché siano scritte, finalmente, ma per la scrittura in sé.
Non so se con il tempo impari a riconoscerle al volo, le idee che potrebbero diventare romanzi che vorresti leggere e quelle che potrebbero diventare romanzi che vorresti scrivere: che devi scrivere, persino, per diventare la persona che sei in potenza, per comprendere qualcosa di più di te e del mondo. Io non ho ancora imparato a farlo: sto migliorando, però. Credo.
L’altra cosa che sto cercando di imparare è a capire quale sia il fulcro del mio interesse: c’è differenza tra una storia che ti affascina per le ramificazioni della trama – per l’impatto che l’evento centrale potrebbe avere su un protagonista – e una in cui è l’evento scatenante a interessarti, differenza tra una storia di cui vorresti esplorare soprattutto un aspetto, una dinamica anche cristallizzata in se stessa, e una che vuoi vedere dipanarsi, andare lontano. Ragionare su questo aspetto potrebbe fare tutta la differenza, non solo per capire il genere in cui iscrivere la storia ma anche il modo di affrontarla, persino la sua natura: se romanzo, racconto, novella. Poesia.
Io ho la testa piena di scampoli, spunti, suggestioni, idee appuntate in pieno giorno o a notte fonda, scene come fotografie e altre come riflessioni quasi metaletterarie: capire se quello sguardo tra due personaggi o quel conflitto irrisolto richiede di essere sviluppato per forza in un romanzo di 80K o se potrebbe lasciarsi esorcizzare in un racconto costruito solo intorno a un paio di spunti mi aiuterebbe a fare ordine, per esempio, e magari a mettere finalmente su carta qualcosa che trascino da anni ma che non mi decido ad affrontare perché ho in mente solo un passaggio e nessuna costruzione più ampia – nessun arco narrativo a tutto tondo, nessun primo, secondo e terzo atto, nessuna sottotrama o contrappunto – che possa fargli da scheletro. Si dice che un romanzo per funzionare bene abbia bisogno di due trame, di fatto, una interna e una esterna: a me quella esterna spesso manca, e ho perso il conto delle storie archiviate per questo. Ma se riuscissi a capire quali possono farne a meno – quali potrebbero soddisfarmi in se stesse, come cosa breve, un unico fulcro condensato e ciò che serve per tenere in piedi quello, non per inserirlo in un contesto più grosso – sarebbe un passo avanti. E magari mi sbloccherei un po’ di più.
Forse anche le mie idee mystery e thriller stanno aspettando questo: che mi decida a raccontarle in forma breve, a costruire qualcosa che abbia senso a prescindere e che non abbia bisogno di un crimine insolito, un’indagine ben architettata, qualche falsa pista, un colpo di scena al punto giusto, investigatori inseriti nel loro contesto e sospetti da interrogare, di un lavoro di incastri che più che stimolarmi mi toglie la voglia persino di partire. Ma solo un’atmosfera, uno spunto, uno scenario: una ragazza che scompare, un fantasma che appanna lo specchio, un ricordo tormentato, un segreto non sepolto del tutto. Un corpo che riaffiora, sconosciuto; un corpo che riaffiora, dolorosamente cercato. Qualche istante di quel che viene dopo.
Non è la stessa cosa, lo so. Ma potrebbe essere quello che cerco.
E non so se questo post sarà di qualche interesse per qualcuno: non dice nulla di nuovo o conclusivo, non ha neanche grande attinenza con le cose che ho scritto e scriverò. Ma vorrei riprendere l’abitudine di lasciare traccia delle riflessioni che faccio, di riflettere per iscritto, in chiaro, invece che solo nella mia mente o nelle e-mail che scrivo a un paio di persone, e in questi giorni sto guardando The Dublin Murders, l’adattamento seriale dei primi due romanzi di Tana French, e sto pensando a quali siano le qualità della sua scrittura, del suo approccio all’argomento crime che mi prendono tanto. Alla ragione – al di là del talento – per cui i suoi romanzi sono per me dei piccoli capolavori (anche e soprattutto il primo, Nel bosco, per quanto imperfetto e incurante degli stilemi del genere) mentre la serie è un poliziesco nella media, che inciampa nei difetti dei romanzi e non riesce a riproporre per nulla i loro punti di forza. A quello che vorrei fare io, con in mano quegli stessi ingredienti. A tutti gli ingredienti che mi verrebbe da buttare all’istante, perché non saprei che farci. A come non ho neppure un grande interesse a imparare a usarli.
E insomma. Non scrivevo da maggio. Ho pensato che qualunque spunto fosse buono per interrompere il silenzio.
In tutto questo, per tirare un po’ le fila di questi mesi: il secondo romanzo della Rosa – che di fatto è più il primo di una nuova trilogia già mappata, anche se per il momento sto cercando di ignorare questo dettaglio – è concluso, non so come e quando vedrà la luce ma vi terrò informatə appena lo capirò anche io. Al momento sono orfana di Theo e non mi sento ancora pronta a scrivere del personaggio che sono riuscita a infilare a tradimento nella sua storia: il prossimo romanzo della serie sarà probabilmente dedicato a Magda ed Helene, l’unica coppia femminile della Rosa, perché è decisamente troppo tempo che aspettano il loro turno e perché io ho bisogno di dimostrare a me stessa che riesco a scrivere anche di donne. Non ho ancora iniziato ma ci sto pensando parecchio, ho già pronta un’idea per il titolo – le cose importanti^^ – e la trama, anche, grazie al cielo, almeno in parte, e insomma. Sono abbastanza impaziente di mettermi alla prova.^^ In parallelo, sto anche elaborando un romanzo che il mio cervello etichetta come “più serio”, anche se non so bene cosa voglia dire: probabilmente solo che non so da dove cominciare e che metto in conto di riscriverlo una decina di volte, quando mi sarò decisa a partire. Lo sento come una traccia costante, però, mi accompagna da questa primavera, sotto forme varie, e credo resterà con me ancora a lungo.
Avrei libri non miei di cui parlare – negli ultimi mesi ho letto cose meravigliose – e lo farò, forse, prima o poi: vorrei riprendere l’abitudine anche per quello. Manca il tempo, però, o forse l’energia: questo post l’ho scritto giusto perché sono miracolosamente in anticipo sulla tabella di marcia per la prossima traduzione in consegna e insomma, potevo prendermi un mezzo pomeriggio. Eviterò di scusarmi per il silenzio di questi mesi: sembra diventata una barzelletta, ormai, ogni volta prometto di fare di meglio e subito riscompaio. Non faccio promesse, quindi. Mi limito a un abbraccio. Grazie a chi passa ancora di qui, ogni tanto. Vi voglio bene anche quando sparisco.^^
Capita anche a me di fare una netta scissione fra libri, storie e generi che amo leggere e che invece posso scrivere. Ad esempio il fantasy: curiosamente, amo scriverlo ma non leggerlo; idem per i thriller, anche se penso, in questo caso, che mi manchino le caratteristiche necessarie per poter mandare avanti una storia di questo tipo. Il thriller non è semplice e, per quanto mi riguarda, il sottogenere che mi attrae è quello psicologico. Ancora più arduo, insomma, e, anche se in teoria dovrebbe essere il mio campo di studio, scriverlo è tutt’altra storia. Forse proprio perché, quando conosci davvero certe dinamiche, qualsiasi cosa scrivi ti sembra troppo banale, lontana da quel che tu sai essere la realtà. E, per contro, se mantieni troppo realismo, rischi di sfornare un prodotto poco adatto al mercato. La soluzione? Il compromesso. In cui io non sono mai stata granché.
(Comunque un’idea di thriller psicologico in bozza ce l’ho. Ho pure il titolo, ma mi domando se diverrà mai qualcosa di concreto o resterà fra le millemila cose/storie/esperienze/relazioni che avreivolutocominciarema.
Di sicuro rifletterci serve. Fa spartire le acque fra quelle che vuoi navigare e quelle che ami, semplicemente, guardare. Non è poco, visto che poi bisogna scegliere dove investire le proprie energie. A volte è vero anche che ci attraggono solo specifiche dinamiche e situazioni di un disegno più “ampio”, e anche in questo caso esserne consapevoli è un enorme passo. Allora sarebbe meglio focalizzarsi su quei dettagli e imbastirci dei racconti, a questo punto, invece di progettare immensi romanzi solo per arrivare ai piccoli anfratti che ci interessano (me lo ripeto spesso, ma poi demordo perché coi racconti ho un rapporto davvero complicato. Non mi sento all’altezza di rendere bene in poco spazio narrativo, ho sempre la sensazione di tralasciare o non approfondire come vorrei).
Grazie per questa importantissima riflessione in cui, come sempre, mi ritrovo a trecentosessanta gradi. Onestamente non pensavo nemmeno che esistesse qualcun altro con gli stessi dilemmi. Dilemmi che, lasciatelo dire, hai espresso in modo magistrale. Non sarei riuscita a spiegarli meglio. Specialmente il distinguo fra coinvolgimento attivo e c. passivo: assolutamente perfetto. Comprendo bene cosa vuoi dire, e ritrovare nelle parole di qualcun altro ciò che occupa la tua mente (e che credi occupi solo la tua mente) ha lo stesso effetto confortante di affacciarsi nella notte causa insonnia e scoprire qualcun altro affacciato per lo stesso motivo. Avvicina, rassicura, in qualche modo ti fa sentire meno isolato nei tuoi pensieri. Perciò grazie a te di questo bell’articolo.
Ciao Mick, scusa il ritardo con cui ti rispondo ♥
Per quanto mi riguarda l’aspetto più difficile del genere thriller è che… è davvero difficile (quasi inutile?) portarlo avanti se tutto l’aspetto procedurale ti annoia abbastanza e non hai conoscenze pregresse del campo (o modo/voglia di procurartele). Ogni tanto ho provato a cominciare a documentarmi (ho comprato anche un paio di manuali appositi) ma boh, rimane proprio il problema di base che tutto ciò che riguarda il crimine in sé e la sua indagine mi interessa relativamente: credo mi piacerebbe più che altro esplorarne i risvolti intimi, le ossessioni, ma non ho ancora trovato il modo di farlo in sordina, appunto. Spero che tu trovi la voglia e la determinazione di riprendere la bozza del thriller psicologico, però.^^ A me forse più ancora che quel sottogenere – per quanto i confini siano sfumati – attrae il thriller letterario in generale: più che altro perché boh, in realtà la prosa personale e intensa è davvero l’unica caratteristica che accomuna tutti i libri che amo, anche i casi più o meno rari in cui toccano generi che normalmente non mi attirano. (Quest’estate per dire mi sono bevuta settecento pagine di fantasy di ispirazione africana in pochi giorni prima ancora di scoprire che era super gay, solo perché la voce dell’autore è qualcosa di meraviglioso.) I thriller li leggo volentieri a prescindere – quando dico che è il mio genere preferito intendo che è l’unico di cui mi intrattengono abbastanza anche gli esempi con zero spessore letterario – ma quando trovo gente che scrive intrecci complessi e originali in uno stile bellissimo (e magari anche su temi che mi prendono a prescindere) mi innamoro proprio perdutamente. Più di quanto non farei scrivendo quelle stesse storie, forse.^^
E il discorso della direzione in cui investire le energie è davvero il punto centrale, secondo me. Soprattutto quando si hanno tantissime cose in mente e un tempo necessariamente limitato per affrontarle. Stabilire delle priorità è un po’ indispensabile.
All’aspetto racconti penso da tantissimo – anche perché boh, da ragazzina ne scrivevo abbastanza, non sono sicura di quando ho smesso di farlo completamente – ma non ho ancora capito che cosa mi blocchi di più. Da un lato il fatto che ne leggo poco, credo (anche io ho un rapporto un po’ complesso con loro, ma è che penso siano uno dei generi più difficili da leggere, cioè, devi approcciarli in modo completamente diverso da un romanzo e non sempre ne ho l’energia, sinceramente), dall’altro il fatto che boh, una volta ipoteticamente finito non saprei bene che farmene. Tutti i siti che vedo e che funzionano hanno dei limiti di lunghezza che io sforerei per forza, perché comunque a me interessa l’introspezione a prescindere e sarei più orientata su racconti di 5-10k parole minimo, credo, che sul web hanno pochissimo spazio, e che per l’editoria tradizionale sono un po’ un anatema, soprattutto quelli comunque incentrati su personaggi, dinamiche e relazioni come le cose che interessano a me. Penso che se riuscirò a portarne a termine qualcuno lo posterò qui sul blog, ma insomma, sarebbe roba più che altro per me. (E per tipo, le due persone a cui faccio leggere tutte le cose in itinere, una delle quali è innamoratissima dei racconti e continua a spronarmi a scriverne da anni.^^)
Un giorno mi piacerebbe anche parlare dei racconti come forma narrativa nello specifico, però, perché credo che avrei bisogno di chiarirmi le idee anche su quello, quindi ecco: magari prima o poi riesco a tornare sull’argomento.^^
Per ora, grazie mille di questo commento: non sai quanto mi faccia piacere sapere che questo post ti è stato utile, anche solo a sentirti un po’ meno sola. ♥ È un po’ lo scopo centrale di tutto quello che scrivo, quindi insomma. Mi ha fatto davvero piacere.^^