Scrivere questo post è più difficile di quanto pensassi.
Non devo dire nulla di terribile, soprattutto rispetto all’ultima volta che ho pubblicato su Effemeridi, eppure sto rimandando da settimane infilando una scusa dietro l’altra, e anche adesso che mi sono decisa a cominciare sento la forte tentazione di continuare a girare in tondo. So che potrei aspettare ancora – Stefania me lo ripete di continuo – ma voglio sbloccare questa cosa, provare a sgomberare il campo. Vi chiedo di avere pazienza, ecco, soltanto questo. Se sarò più verbosa o labirintica del solito.
Questo post è sostanzialmente sul futuro. O sul presente, forse: su quello che per il momento credo di vedere. Sulle cose che sono scomparse dal mio orizzonte e quelle che hanno solo mutato forma, sulle storie che mi sento ancora in grado di scrivere e quelle che potrò soltanto immaginare. Quelle che porto nel cuore, in modo troppo intimo per poterle tradurre in parole. Quelle che se anche scrivessi, non so se riuscirei a far leggere.
Il punto è che non ho mai creduto che mi sarei trovata a scrivere la Rosa da sola, che il fatto stesso di pensarci è un totale ribaltamento di prospettiva, e al tempo stesso anche qualcosa che ho già cominciato a fare, che di fatto sto già facendo. Ho passato gli ultimi anni a distribuire le idee e i romanzi in modo da dare la precedenza a quelli che potevo scrivere io, che riguardavano personaggi solo miei o a cui Sabrina non teneva troppo, quindi so di esserne in grado, letteralmente l’ho già fatto. Eppure. Eppure è la prima volta che lavoro a una storia sapendo che lei non leggerà – che non potrà leggere – le parole che sto scrivendo, e mi sono accorta in questi ultimi mesi, da quando ho cominciato a pensarlo, che si tratta davvero di uno spartiacque grandissimo: avevo diciotto anni l’ultima volta che è successo. Non credo ci sia nessuno, tra le persone che mi stanno ancora seguendo, che abbia cominciato a leggermi prima di lei: se c’è, non penso me l’abbia mai detto. Per un po’, il mese scorso, questo pensiero mi ha fatto sentire molto sola e nuda. Adesso non so. Forse mi sento solo più disincantata e adulta. Invecchiata controvoglia.
Non che ci fosse altra scelta.
Ho diverse cose da dire, in ogni caso, alcune belle – credo – e altre inevitabili e forzate. Comincio dalle notizie positive, perché c’è la forte possibilità che dopo mi perda in qualche spirale di ricordo e c’è una parte di me – credo per fortuna – a cui rincresce un po’ dare questo annuncio con questo tono amaro, e vorrei evitare almeno di farlo davvero piangendo. Quindi. Raccogliamo per un attimo tutto il resto in una bolla di vetro e cerchiamo di volgere al futuro uno sguardo un po’ coraggioso.
Poco più di un mese fa ho firmato il contratto per pubblicare Ultimo oceano.
Farlo è stato strano, in realtà, non solo perché in quei giorni ogni minimo gesto aveva una consistenza fuggevole e pesantissima, ma anche perché mi ha costretto a prendere alcune decisioni formali che sul momento mi hanno un po’ spaventata e che al tempo stesso hanno dato sollievo a una parte di me che forse stava cercando proprio questo: un modo per rendere manifesto, per mettere nero su bianco che la Rosa era cambiata, che era cambiato il mio rapporto con la sua scrittura. Che non ci sarebbe più stata l’esaltazione gioiosa o l’ansia, la condivisione e il senso di responsabilità che viene dal portare avanti un progetto con un’altra persona. Adesso ero sola. E al tempo stesso, lei era ancora con me. Continuavo a sentirla.
Perciò.
Ho deciso – e non ringrazierò mai abbastanza Barbara per averlo suggerito e permesso, probabilmente senza neanche sapere del tutto quale tasto stava toccando – di continuare a pubblicare la Rosa a nome sia mio che di Sabrina, anche se materialmente sarò l’unica a scrivere. Anche se non potrò chiederle consiglio, consulto, anche se è sicuro al cento per cento che il risultato sarà molto diverso da qualunque cosa avremmo potuto creare insieme. Anche se non sono sicura che lei me l’avrebbe chiesto – non voleva neanche che mettessi il suo nome su In luce fredda, del resto – e anche se posso solo sperare che le avrebbe fatto piacere, che avrebbe preso questa scelta per quello che vuole essere: un atto d’amore. O una dichiarazione, forse.
Fino a due mesi fa, avevo idee confusissime sulla forma da dare alla Rosa. A livello di serie, intendo: potenzialmente, avrebbe potuto proseguire all’infinito. Senza Sabrina queste possibilità infinite si sono chiuse una dopo l’altra, però, e in una specie di piccola magia tutti i tasselli sono andati a posto: ho perfettamente chiaro l’arco che devono – possono – seguire i personaggi, adesso. Quali potranno raccontarsi e quali si perderanno del tutto. Quanti libri saranno. Come dovrebbero dividersi le storie, come potrebbero sconfinare, sovrapporsi. È possibile che cambi ancora idea, certo, ma non lo vedo probabile. È possibile che non riesca a fare quello che voglio, e questo è un rischio concreto, invece: mi sto proponendo una cosa per me molto difficile. Ma voglio impegnarmi ad andare fino in fondo, perché gliel’ho promesso. E anche se non siamo mai scese nel dettaglio – anche se non ho mai seriamente creduto che stessi prendendo un impegno solenne, che avrebbe potuto diventarlo – ho la sensazione di averle promesso proprio questo. Niente di più, niente di meno.
Sam e David, oltre alla tribù dei Seymour, a Viv e Björn e ai suoi due personaggi che mi ha ceduto mentre ancora poteva farlo. L’inizio della Rosa e la sua fine. Quello che abbiamo cercato di scrivere per quasi quindici anni, e quello che stavamo aspettando di cominciare.
In luce fredda è stato il primo capitolo, un po’ isolato, forse – i prossimi due o tre romanzi almeno toccheranno Viv e Carlos solo di sfuggita – ma comunque il principio di un cerchio che, se riuscirò a fare quello che voglio, dovrebbe richiudersi più o meno su se stesso. Il prossimo tratto di questa circonferenza immaginaria sarà Ultimo oceano.
Ultimo oceano racconta di Raven e Jude, visti dagli occhi di Theo, con Theo. E racconta di Mark, anche, forse persino soprattutto: il rimpianto più grande è che, dopo anni passati ad aspettare la sua storia, Sabrina non abbia potuto leggerne davvero neanche l’inizio. Uscirà in autunno, si spera, e io lo sento abbastanza diverso da tutto ciò che ho scritto finora: più mio, in maniera segreta, intima. Tanto che, per qualche mese almeno la primavera scorsa, sono stata seriamente tentata di non pubblicarlo proprio. Spero che vi piacerà, quando e se lo leggerete, ma se non sarà così, andrà bene lo stesso. A Sabrina è piaciuta la parte che ha letto e sono sicura che le sarebbe piaciuta ancora di più quella che è venuta dopo, in quel mese impalpabile dove il nostro tempo insieme stava sgocciolando verso la fine e non lo sapevamo.
Dopo Ultimo oceano ci saranno altri tre o quattro romanzi. Uno lo sto scrivendo adesso, ed è l’unico che potrei finire per pubblicare solo a nome mio perché parla di Helene, e del suo modo di vivere il dolore, e perché ho la sensazione strana che in tutti questi anni io abbia evitato di scrivere di lei per poterlo fare adesso e dare alla sua storia le cose che non riesco a spiegare della mia, per prendere in prestito la sua voce. Sabrina non c’è, in questa trama, non c’è come co-autrice intendo: in un altro senso, è in ogni singola riga. Nello spazio bianco tra una parola e l’altra. Nel titolo che sto ancora cercando di incastrare, perché parli a lei, di me e di ciò che effettivamente voglio scrivere. Vedremo cosa ne uscirà. E vedremo se il resto della storia che ho bisogno di raccontare troverà posto lì, o se rivendicherà uno spazio proprio. Se sconfinerà negli ultimi due romanzi, che hanno già titolo invece, scelti con lei da chissà quando: Saturno in bianco – per Sam e Björn, e l’atroce rimorso di averla lasciata andar via senza concederglieli – e Nodo su nodo. Per David, e Sam, e Daniel e Megan, credo. Perché è nato per loro.
E poi basta. La Rosa sarà questo, alla fine: quel che mi resta.
Questa era la parte positiva.
La parte negativa è che tutti gli altri progetti che avevamo insieme sono persi per sempre, invece, e non c’è modo di girarvi attorno. Non ci sarà nessun seguito di Folco e Vale non avrà mai la sua storia – Dee resterà nel limbo in cui è adesso, scardinato dal mondo in cui è nato e senza Sabrina che possa riportarlo a casa, tessergli intorno una rete di colori e leggera follia. Resterà nei suoi occhi, lo stesso verde ormai chiuso, nelle due-tre pagine di sinossi di una storia che ho aspettato mi regalasse per anni, in quel primo capitolo orfano. Potrei decidere di rimettere online Piume di Boa, forse, per dargli comunque qualcosa, ma se lo farò sarà soltanto sul blog, un file da scaricare gratuitamente e trattare come la storia che era, qualcosa di gioioso e bello da condividere. Non sono ancora riuscita a rileggerlo, perché non ero in vena di ridere, ma forse la prima volta che mi ritroverò a farlo. La prima volta che mi lascerò consolare di nuovo da quello.
In Bounds non verrà mai conclusa, né ripresa per trasformarsi in romanzo vero. Questa è una delle cose che mi fa più male, perché odio l’idea che nessuno a parte i veterani della Rosa abbia potuto leggere Mike, il Mike che Sabrina aveva condensato in quelle pagine, e perché in fondo mi sento ancora in colpa per non avere mai avuto il coraggio di tornare su Albert, sui modi in cui lui diceva addio a un rapporto e permetteva di farlo anche a me, in un gioco di specchi diversissimo. (Camilla, mi spiace, so che te l’avevo promesso.)
Contrappunto doppio potrebbe ancora essere scritta, in qualche strano futuro – è una delle poche premesse comuni che potrei portare avanti anche per conto mio – ma non ci sarà mai Gabriel dentro, né tutto il mondo che si portava dietro: il suo pianoforte e la sua Russia, i suoi cieli bianchi, il suo ascetismo. E quella passione che lo scavava da dentro, che stava in ogni suo respiro. Ethan e il loro passato che lei aveva così chiaro in mente e che io non mi sono mai fatta davvero raccontare perché volevo leggerlo, gustarmelo comodamente, senza nient’altro contributo che l’amore. (Pensavo una cosa simile della storia che stava scrivendo due anni fa, l’ultima cosa che abbia davvero mai scritto: si era arenata un autunno, durante una delle tante maree d’ansia che l’avevano portata lontano, e mesi fa mi aveva detto di averci pensato molto, nel periodo in cui non ci sentivamo, di avere chiarito molti snodi, di vedere tutto in modo più lucido. E io ero stata felice ma non le avevo chiesto cosa, come, in quale senso: non le avevo chiesto di raccontarmi. Continuo a pensarci. Al fatto che quegli snodi se ne sono andati con lei, che quella storia potrei averla letta soltanto io, nella metà che ha scritto. Che non avrà mai un finale. Che Jean e Liam resteranno sempre persi in quel bosco.)
Quel che riguarda Rowan è un discorso ancora diverso, invece. Il seguito di Opera al Rosso è scritto da anni, da quando Opera si chiamava ancora Drenched, persino, e ciò che gli manca per diventare un libro vero dipende da me, sostanzialmente, per anni mi sono ripromessa di prenderlo in mano. Due inverni fa – o era solo quello scorso? – me lo sono persino stampato tutto, per qualche giorno ci ho lavorato in maniera convinta. Ero disposta a sacrificare le parti a cui più tengo per renderlo qualcosa di leggibile al mondo: non mi sentivo solo pronta a scrivere le cose che mancavano. Adesso anche la semplice idea ha perso ogni senso. Senza di lei non sarei in grado di farlo e non credo neanche di volerlo: mi spiace per le persone che forse ci speravano, ma c’è la forte possibilità che quella storia vi avrebbe deluso parecchio, quindi insomma. Forse ci siamo risparmiati tutti qualche frustrazione aggiuntiva. E io posso conservare quella che di tutte le cose che abbiamo scritto insieme – e di tutte le cose che ha scritto in prevalenza Sabrina, perché la narrazione principale era affidata a Gabriel e alla sua lucidità appassionata – era forse quella che sentivo più mia, scritta per me, concepita per far vibrare ogni mia corda. Una parte di me rimarrà sempre lì, in quella relazione imperfetta che mi faceva sentire cullata, in quel fazzoletto di tempo strappato a una storia grandissima, nel futuro confuso da cui Rowan ricordava il suo esilio. Negli occhi di Gabriel che lo riflettevano, nelle parole di Sabrina che tratteggiavano lui, e me, ogni nostra corrispondenza. E negli intermezzi lirici che sono stata lì lì per asportare, nella consapevolezza ora limpida che farlo sarebbe stato un errore.
L’altra ragione per cui Rowan merita un discorso a parte è che la possibilità che lui riveda Edward se n’è andata con Sabrina, e se tornassi a scrivere di lui – come ho fantasticato ogni giorno per tutto il mese di dicembre – sarebbe solo per fargli fare i conti con questa realtà. Perché tutti gli altri personaggi di Sabrina non sono scomparsi davvero: alcuni sono entrati in me, altri sono rimasti intrappolati nelle storie che li custodivano. Come un incantesimo. Io non posso toccarli, abitarli, vederli, ma sono ancora lì, in qualche modo: un presente eterno che a volte sento vicinissimo. Edward è morto, invece, o morirà nel suo prossimo futuro, e per tutto dicembre ho avuto fantasie molto elaborate al riguardo. Ore intere trascorse a immaginare il suo ufficio deserto, la sua casa piena di aria immobile, tutto vetro freddo e luce: a immaginare Rowan erede di quella solitudine lancinante, il suo dolore, la rabbia e il tradimento di quell’incontro ormai impossibile. Se fossi stata in grado di scrivere, in quei giorni, avrei scritto mezzo romanzo soltanto su questo: le chiavi del regno e la sua maledizione. Non ho ancora escluso di farlo, un giorno, ma se a me potrebbe fare anche bene, nell’ottica di un esorcismo, dubito che riuscirei a darlo in pasto al mondo. E dubito ancora di più che il mondo avrebbe grande interesse a consumare quel pasto.
Quindi insomma. Questo è quanto.
Quello che sento ancora liquido, fluido, in cui vorrei o potrei immergermi negli anni che verranno, e quello che è ormai fossilizzato in qualcosa di non-vivo, chiuso in un compartimento stagno di cui soltanto lei aveva la chiave e che non saprei scassinare, se anche avessi voglia di farlo.
Fa male, pensarci. Ma del resto, fa male pensare un po’ tutto. Questo, almeno, in certi momenti è un dolore anche produttivo.
Eviterò di lanciarmi in buoni propositi per quanto riguarda il blog o la pagina. Ho sempre finito per disattenderli anche quando si metteva di mezzo soltanto la vita, e adesso non ho bisogno di altri sensi di colpa. Ho scritto questo post – mi sono forzata a scriverlo – perché vorrei tornare a scriverci, però, di libri e scrittura e poesia, e finché non abbracciavo il suo fantasma – finché non gli davo forma, consistenza – faticavo persino a pensarci. Adesso spero di riuscire a riprendere, piano piano. Scrivere anche per lei.
E per me, in fondo. Per ritrovare una voce che un po’ mi sembra sia rimasta soffocata da tutte le cose che non le ho detto.
Approfitto di questa chiusura che non riesco a trovare per ringraziare tuttx quellx che mi – ci – sono statx vicinx quando è successo, e anche quellx che sono rimastx lontano per non essere di peso. Avrei voluto riuscire a essere più presente per le persone che hanno sofferto la sua scomparsa anche se era da tempo che non interagivano con lei – certi legami rimangono anche nella distanza – ma era un po’ oltre le mie forze. Scusate.
Vi abbraccio tuttx, comunque.
In copertina, di nuovo, una foto che Sabrina ha scattato ormai tanti anni fa e che per qualche ragione è sempre stata una delle mie preferite. Nell’ultimo mese l’ho guardata quasi ogni giorno, continuando a leggere le parole con cui l’aveva corredata – non ricordo assolutamente cosa stesse pensando – a rigirarmi nella bocca quel titolo. Favole spente. Più triste di quanto avrei voluto, ma appropriato lo stesso, forse.
Avevo bisogno di recuperare ancora il suo sguardo.
Un’ultima volta almeno.
(Mancherà moltissimo.)
La foto è splendida, come anche i tuoi progetti – che tu abbia deciso di renderli pubblici o meno. Anche quelli sono un patrimonio importante, forse anche più prezioso, e trovo una scelta nobile e giusta far figurare il nome di Sabrina col tuo sulle storie legate alla Rosa. In fondo è vostra, la vostra creatura, la vostra eredità per il mondo. Ma penso di averlo già detto.
Oh, non scusarti di nulla. Credo sia già tanto che ci renda partecipi di questa tua dimensione così intima.
Avanti tutta ❣️.
Grazie, Mick. ♥ Speriamo di riuscire a portare tutto a termine, un passo dopo l’altro.^^
(Quella foto io l’ho amata dal primo momento in cui l’ho vista, per ragioni che non ho mai saputo davvero spiegare, ma in generale il talento di Sabrina con la fotografia era pari a quello con la scrittura, e almeno in me toccava corde molto simili e con un’intensità forse persino maggiore. Purtroppo negli ultimi anni aveva lasciato un po’ andare anche quello – un giorno mesi fa mi aveva detto di essere tornata sule sue vecchie foto stupendosi di quanto fossero belle, perché aveva proprio dimenticato persino che era stata brava, un tempo – ma a me capitava ancora di tornare a riguardarle, a volte, e adesso a maggior ragione. Credo che il pensiero della quantità di scatti che si sono persi nei suoi hard-disk cambiati negli anni – tra cui non so quanti miei – faccia male almeno quanto quella delle pagine che può aver scritto senza che io sapessi, o facessi in tempo a leggere. Era proprio una parte di lei molto forte.)
Non ho mai commentato qui, non ho mai avuto davvero le parole per commentare i tuoi post, ma li ho sempre letti con affetto. Un pò come se leggerli in silenzio fosse un modo per esserti ed esservi sempre vicina.
Ma oggi va così.
Perchè neanche a metà post sono arrivate le lacrime, e il cuore batte forte per tutte le emozioni – quelle belle e quelle brutte – e ho sentito il bisogno di dirtelo. Qualunque cosa scrivi, sai renderlo infinito.
Non ho neanche niente di particolarmente importante da dire, solo che ci sono – ci sono sempre stata, e ci sarò sempre – e che le lacrime hanno un sapore un pò più amaro oggi, ma restano la prova di quanto dentro siate entrate, e di come impossibile sia anche solo pensare di dimenticare.
Non c’è giorno che passi senza che qualcosa mi ricordi te, o lei, *noi*, o tutti loro – seppur esistano solo nero su bianco – e credo che questo dica più di mille parole.
Un abbraccio, fortissimo.
Mari ♥ Grazie di aver lasciato questo commento, davvero, perché sei assolutamente una delle persone a cui pensavo nel finale, quando dicevo che mi dispiace non essere stata più presente, più capace di stare vicino (e mi dispiace anche aver delegato a Ste il compito di darti la notizia, ma davvero quel giorno non ce la facevo). So quanto deve averti fatto male saperlo, e mi dispiace tanto. Grazie dell’abbraccio, e di pensarci, e di pensare a loro. Ti abbraccio forte anche io.